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TERZA. Michael: la sfinge del museo Egizio

Ci siamo trovati da Ciccillo, tutti puntuali, alle 13. Il proprietario, napoletano doc, ci ha accolto con pacche amichevoli sulle spalle. Io mi sono un po’ sciolto. In fondo sono sempre stato combattuto sulla scelta di accettare o meno l’invito.

Il giovane vestito in maniera stravagante è stato il primo ad aprire bocca: – Tra l’altro ieri non mi sono neanche presentato, mi chiamo Michael -.

Era vestito allo stesso modo del giorno precedente, come gli altri d’altronde. Indossava dei pantaloni viola da hippie, larghissimi ma molto stretti sulla caviglia, e scarpe di pelle nera, chiaramente di qualche numero di troppo e tutte impolverate. La maglia, nera e con la zip, apparentemente pulita, si contrapponeva ai capelli, neri, sporchi e disordinati: ho pensato che probabilmente la sera prima non aveva usufruito delle docce del dormitorio.
Lo sguardo bonario e l’espressione un po’ ebete di quel ragazzo mi hanno fatto istantaneamente provare simpatia nei suoi confronti.

In ordine di difficoltà, se si è un senzatetto torinese, al primo posto si pone la problematica del dove e come dormire: non si può sostare in un dormitorio per più di tre mesi, quindi bisogna essere pronti a trovare un altro posto letto, altrimenti, come spesso accade si finisce in strada. Al secondo posto vi è, appunto, la questione vestiti: bisogna indossare gli stessi abiti per mesi, non sono molti gli enti che li distribuiscono gratuitamente. Per i senzatetto d’altro canto raccattare vestiti brutti, sporchi e usurati rappresenta la più grande umiliazione. Ecco perché molti non provano neanche a rivolgersi agli enti.
Il cibo occupa il terzo posto: è piuttosto semplice in città trovare enti benefici pubblici o privati che distribuiscono gratuitamente pranzi e cene.

– Quattro calzoni, grazie -.

Michael non ci ha fatto neanche scegliere.

– Allora Nicola, cosa fai al Tari? Ti senti in colpa perché hai troppi soldi o vuoi conoscere gente importante? – chiese con una leggera nota di sarcasmo. Notai che il suo sguardo si fece impercettibilmente più attento, probabilmente per studiare la mia reazione in ogni minimo dettaglio.

Non me la sono presa, anzi ho apprezzato la domanda diretta e ho sorriso: – Gente importante? -.

– Sì intendo altri che si sentono in colpa per avere troppi soldi. Gente che può darti un lavoro importante! -.

Una risatina generale. Giuseppe ha scosso la testa e Antonio ha esordito: – scusalo, guarda com’è conciato… non dare peso alle sue parole! -.

– Nessun problema – ho riso.

Incurante della battuta, Michael ha continuato come un treno agitando il menù: – Qua a Torino comunque sono dei ladri! In Thailandia dieci centesimi per un litro di latte di cocco. Dieci centesimi. Capito, Nicola? -.

– È nel latte di cocco che hai investito i risparmi di cui mi parlavi l’altra volta? – ho domandato facendogli un occhiolino, così da ricercare la sua complicità che, in effetti, ho ottenuto.

– Prostitute, Nicola. 43 euro per tutto il giorno! Incredibile. Un mondo magico. Non parliamo poi dell’infinita scelta di droghe che offre Bangkok! Un’altra dimensione Nicola, fidati. Purtroppo sono stato lì solo sei mesi. Ho bruciato i pochi risparmi che avevo e sono tornato più povero di prima. Ma almeno mi è rimasto un costume da sfinge -.

– Tanti vogliono fare la foto con una sfinge davanti al museo Egizio. Pian piano dei soldi sto iniziando a guadagnarli. Al contrario vostro, che state qua a ridervela. –

– Antonio, tu che ridi tanto, perché non racconti a Nicola la fine della Sante Advertising? -.

– Avevo anche Vodafone come cliente. È finito per colpe non mie, Michael. Ti sei poi informato a riguardo, Nicola? -.

– No -. Ho mentito.

– Beh te la farò breve. Questa agenzia si è ritrovata coinvolta nello scandalo dei palazzi di Via Nizza. È stato scoperto un grande giro di prostituzione. C’erano 50 ragazze orientali coinvolte. La famiglia di Lynn, la mia ragazza, era tra i proprietari di questi palazzi, in cui vi era anche il mio ufficio -.

– Lo sai quanto dura un processo in Italia, Nicola? Chissà quanti decenni ci vorranno per riabilitarmi e far valere la mia innocenza. Per adesso ho salutato la mia ragazza e la mia agenzia. Tutto quello che ho sono promesse. Promesse di rimettere tutto a posto. Promesse di cambiamento. Cazzate -.

Michael sorrideva divertito dall’inizio del racconto: – Perché tu non ne sapevi proprio nulla vero? Difficile in effetti non notare un 50 ragazze che urlano e ansimano in continuazione -.

Notando l’espressione poco scherzosa di Antonio, ho domandato curioso: – perché non provi a ricontattare Lynn? Ricominciare, anche dall’altra parte del mondo, potrebbe essere un’idea -.

– Chi non lo vorrebbe? – Ha detto a bassa voce Giuseppe fissando il tavolo e l’involucro del calzone che aveva appena divorato.

Antonio mi ha risposto fissandomi negli occhi: – È un’idea. A dire il vero dei progetti già li ho. Non so dove sia precisamente, comunque. La famiglia si è messa di traverso, e ora è da un po’ che non la sento. Ma delle idee le abbiamo avute. Però sono folli. Forse è a Pechino. Forse è in Corea a Seoul, dove lavora suo zio. Non lo so -.

– So soltanto che io sono qua, Nicola. A sperare che domani accada un miracolo che puntualmente non arriva -.

– È tardi, ho un appuntamento -. Così dicendo, Antonio è stato il primo ad alzarsi, seguito da noi altri.

Ci siamo salutati con poche parole.

Un pubblicitario. Un folle. Un maestro di Karate. Io. Ho sentito che avevamo in comune ben poco. Durante quell’incontro, però, ho avuto come una sensazione di deja vu. Ho acceso una sigaretta e mi sono diretto verso casa camminando velocemente. La testa mi stava esplodendo.

Articolo a cura di Nicola Samana