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SECONDA. Antonio: colpevole o innocente?

La sua calma, le sue piccole pause di riflessione con lo sguardo rivolto verso la strada, la sua storia. Non riuscivo a non ripensare alle sue parole, specie per il fatto che dopo quel giorno Giuseppe era tornato diffidente e taciturno.

Era passata poco più di una settimana da allora, e come generalmente accadeva dopo cena stavamo guardando la televisione. Giuseppe era solito guardare il telegiornale, ascoltava gli altri commentare le notizie e andava a dormire senza dire una parola.

In quel momento era appena terminato il solito servizio intellettuale per chiudere in bellezza il telegiornale. Questa volta riguardava il numero di perversioni sessuali presenti in Italia. Uno psicologo illustrava un grafico che comparava l’Italia alle altre nazioni europee, continuamente interrotto da immagini di modelle in costume.

– La mia perversione è sempre stata quella di vedere la mia ragazza scoparsi un altro! -. Ha esclamato uno dei presenti.

Un grande classico. Era arrivata la battuta immancabile sul Nobile e Altissimo argomento “figa”. Spesso accompagnava quasi ogni discorso al dormitorio Tari.

– Davvero, non ridete! Pensate che ero arrivato a sperare di beccarla in flagrante. Ma solo per godere di più! -.

Ho continuato sarcastico: – Bene allora perché non offri qualcuno di noi come cavia allora? -.

– Andiamo a fumare una sigaretta che facciamo un accordo dai. Viene anche Beppe così magari si interessa a qualche conversazione -.

Alzatosi con un sorriso sommesso, anche lui è uscito con noi.

Le strade di San Salvario erano deserte, era l’ora di cena e l’odore acre di fritto proveniente da qualche bettola lì vicino saturava l’aria subito fuori il dormitorio. Il cielo era però terso e limpido e l’aria frizzante mi intorpidiva il naso e le orecchie, l’estate di San Martino aveva fatto una breve comparsa proprio in quei giorni. Le previsioni però erano state chiare: due giorni di illusione d’estate per poi passare all’autentico inverno torinese.

Lo stesso uomo che aveva fatto sorridere Giuseppe ha incominciato a grattarsi ripetutamente la sua incolta e irregolare barba scura:- Nicola, mica ti posso organizzare un incontro con la mia ragazza -.

-Ehi ma stavo scherzando, ovvio ! -.

-Non so dove sia, da qualche parte vicino a Pechino forse -.

Non capivo se il suo tono fosse sarcastico o serio, così mi sono limitato ad annuire sorridendo.

– È cinese. Nessuno dei volontari ti ha detto chi sono? Sono Antonio Sante. L’ex proprietario della Sante Advertising, avevo un’agenzia giusto qua vicino -.

Giuseppe è scoppiato a ridere e a  tossire nello stesso momento, così forte che ho faticato a distinguere le due azioni: – Vedo che la storia che ti ha portato qui non ha fatto cambiare il tuo interesse primario -.

Antonio aveva appena acceso la sigaretta e la spostava nevroticamente tra le labbra, poi la riprendeva con le dita e la costringeva a una danza tortuosa. A ogni tiro la mascella si serrava, quasi volesse mordere la sigaretta con i denti. Il bicipite risaltava vistosamente dalla giacca di pelle nera lisa e rovinata che indossava e un anello d’oro brillava al dito tra gli infiniti tatuaggi: ho ripercorso i miei studi di diritto e convenni che la legge quel gioiello non avrebbe mai potuto toglierglielo. I suoi occhi blu elettrico vispi e attenti sono passati rapidamente da me a Giuseppe : – Sai Beppe, che ti preferivo quando stavi zitto? -. Risata generale. La cosa che mi ha colpito di Antonio è stato, oltre alla sua giovane età, la cura che continuava a portare alla sua persona.

Nel dormitorio non è raro vedere persone che rinunciano alla loro dignità. Stanche di vivere, si trascinano, sopravvivono. Si abbandonano a un lento e inesorabile degrado sia psicologico che fisico. Ad altri invece, il fatto di dormire in un dormitorio non andava bene affatto. Lottano con ogni centimetro quadrato e riempiono le loro giornate in agenzie del lavoro o in giro a distribuire i loro curricula, accettando il più delle volte qualunque tipo di lavoro purché li potesse restituire anche solo in minima parte la loro vecchia vita. Antonio di primo impatto mi è sembrato esattamente uno di questi.

Ha continuato: – Avevo un’agenzia pubblicitaria, ricevevo commesse anche per grandi aziende. Un giorno mi sono trovato valigie e polizia alla porta -. Una stoccata di grande impatto detta con estrema naturalezza, accompagnata da una mimica apparentemente premeditata fin nel minimo dettaglio: suonava come quegli slogan alla fine delle pubblicità.

Regola numero uno quando si dialoga al centro Tari: mai chiedere perché. Anzi, mai fare domande, punto e basta.

In ogni caso non è stato necessario, ha proseguito il racconto concitatamente: – Mi hanno tolto tutto, sono rimasto senza nulla. Lynn, mia moglie, poveretta, se ne è dovuta andare. E la colpa non è di nessuno dei due. O di entrambi, per il fatto di essere troppo stupidi. Quel giorno lì ho aperto il giornale. C’era la mia faccia e il nome della mia agen…-.

Neanche ha avuto il tempo di finire il discorso che è arrivato il nuovo utente, con una sigaretta appena rollata, vestito naïf, capelli lunghi e pelle malcurata. Neanche ci fosse appena stato qualche concerto rock. – Senti Nicola, sei giovane e non sei stupido, non lo dici vero a Mario che questa non è una sigaretta? -.

Appurata la mia faccia complice, dopo una breve risata rauca ha seguitato: – Piuttosto, parliamo di cose interessanti, prima vi sentivo parlare di ragazze, di cose losche e di Cina… Per una volta che in questo mortorio si fa una conversazione interessante, non posso certo perdermela -.

– Anche se so già la tua storia Antonio, mi dispiace. Innocente o complice poco mi importa, quindi ti risparmio la prosecuzione. D’altronde non siamo mica in carcere no?

Io comunque sono colpevole, ho speso tutto ciò che avevo in Tailandia -.

Ancora una breve risata poi ha proseguito: – Sentite, ma per una volta possiamo andare via da questo cesso? Domani facciamo pranzo insieme -.

– Eddai che i soldi per un panino da Ciccillo ce li avete! Alle 13 ci vediamo lì, non voglio scuse! Adesso vado a dormire che sono distrutto -.

Non mi era consentito frequentare gli utenti al di fuori del dormitorio. Era un regolamento severo. Forse avrei dovuto dirglielo. In quel momento, tuttavia, ho deciso di accettare l’invito. Poi sono entrato e prima di andare a dormire sono rimasto cinque minuti a fissare la televisione: consigli per gli acquisti.
In quel momento la pubblicità era diventata la linea di demarcazione tra due città. Gli spettatori del Tari, dell’Altra Città, seduti, stavano inconsapevolmente ammirando l’esaltazione dei valori e delle norme ai quali, volenti o nolenti, si sottraevano: il consumismo tentava disperatamente di offrir loro delle motivazioni per fuggire dall’Altra Città.

Ma cosa stavo per fare? Un pranzo con quali persone?

Dopotutto Antonio non aveva terminato la sua storia. Ed ero curioso di sapere come quello scapestrato avesse deciso di investire i suoi soldi in Tailandia.

Ho pensato che accettare l’invito sia stata una buona scelta.

Articolo a cura di Nicola Samana