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Ahmed Dawoodi: il suo percorso, dall’Afghanistan a Torino

Sarà la paura del terrorismo, sarà la paura del colore diverso della pelle … non sappiamo quali siano le ragioni, quali siano le basi fondanti delle barriere innalzate verso lo straniero, verso chi, implorando su un pezzo di carta, il permesso di soggiorno, sbarca sulle nostre coste. Ahmed è un ragazzo di 24 anni, un ragazzo buono, un ragazzo che come tutti gli altri forse da bambino sognava di giocare a calcio nel suo Paese d’origine. Ahmed aveva 14 anni nel 2005 quando giunse in Italia e il suo viaggio era già stato molto lungo.
Raccontiamo la sua storia mentre la fuori le divisioni e gli odi aumentano di giorno di giorno.
L’invito è leggerla tutta la sua storia, capire e comprendere che ognuno è portatore di un passato e per questo è persona, non una cosa.

Flag_of_Afghanistan.svgXlestrade ha conosciuto Ahmed Dawoodi. Ahmed è un ragazzo di 24 anni, nato in Afghanistan, nel distretto di Jaghuri, nella provincia di Ghazni.
Ahmed dovette però lasciare il suo paese d’origine, e la sua famiglia, nel 1999, anno in cui il padre decise di farlo fuggire insieme ad una famiglia di suoi amici. Era infatti quello l’anno in cui in Afghanistan erano saliti al potere i talebani che avevano fatto chiudere le scuole. Inoltre Ahmed apparteneva all’etnia Hazara, etnia aspramente perseguitata per motivi religiosi e culturali, in quanto di origine musulmana sciita.

Il percorso di Ahmed quindi lo condusse in Pakistan dove vi rimase alcuni anni. In seguito, nel 2001, decise di scappare con altri ragazzi in Malesia pur avendo i documenti falsi, e in seguito in Indonesia.
In Indonesia però fu rinchiuso in carcere per 7 mesi in quanto era sprovvisto di documenti validi.
Fu allora che decise di ritornare nella terra natia dove però la situazione, nonostante l’intervento americano post 11 settembre 2001, non era mutata. Nel 2002 ripartì nuovamente per il Pakistan dove rimase per alcuni anni. Aveva 12 anni e si manteneva lavorando in un negozio di abbigliamento locale. La sera studiava l’inglese coltivando il sogno di andare un giorno in Inghilterra.
Successivamente, essendo illegale e clandestino anche in Pakistan, partì per l’Iran e giunse infine in Turchia viaggiando a piedi la notte per attraversare il confine con un altro gruppo di persone. Dalla Turchia prese un gommone per raggiungere le coste greche.
In Grecia, fermato dalla polizia, rimase 3 mesi in un centro profughi locale per poi essere espulso. Nel 2005, dopo quindi 8 mesi in totale di permanenza in Grecia, insieme ad un altro ragazzo più giovane di lui, salì su un camion e, nascosto per oltre 56 ore al suo interno, andò in Austria. Dall’Austria giunse poi in Italia dove rimase inizialmente per un mese nel centro di accoglienza di Cividale (Ud). In seguito scappò, prima direzione Roma e infine Torino dove aveva alcuni contatti.

A Torino è giunto nel maggio 2005 e qui si è fermato. Inoltre è stato preso in affidamento da una famiglia italiana per 3 anni, famiglia dove risiede tuttora.
A Torino ha frequentato la scuola professionale, diplomandosi nel 2011 come Tecnico della Gestione Aziendale. Si è poi iscritto alla Facoltà di Lingue e Letterature straniere, ma ha dovuto interrompere gli studi in quanto preso da diversi lavori. Attualmente sta infatti collaborando con la Bottega Etica Glocandia e svolgendo un tirocinio presso una pasticceria di Alba. Inoltre collabora presso il Tribunale di Torino come interprete.

Ahmed ci ha raccontato che avere un impiego per lui è importante in quanto è un requisito necessario per ottenere la cittadinanza italiana e per avere la carta di soggiorno, che non ha ancora in quanto il reddito non è abbastanza alto. Risiede in Italia con un permesso di asilo politico.

Abbiamo chiesto se ha avuto occasione di rivedere la sua famiglia. Ahmed ci ha detto che è andato a trovarla due volte, nel 2012 e nel 2014, in Pakistan, a Quetta dove ora risiede.
Ahmed non sa se il suo percorso è terminato o se dovrà nuovamente partire. I suoi diritti sono labili e pochi. Le difficoltà economiche, abitative e lavorative sono numerose e la burocrazia è molto lenta.

Il messaggio che ci lascia è un attestato di speranza e di fiducia. Occorre, ci ha detto, essere sempre soddisfatti di quello che si fa, scoprire in ogni cosa la parte positiva. C’è sempre chi sta peggio, occorre quindi accontentarsi del poco senza avere aspettative troppo alte.

Noi ringraziamo Ahmed per averci raccontato di lui e del suo percorso. Gli auguriamo buon viaggio! Racconteremo altre storie; Xlestrade vuole lasciare un segno anche in questo, contribuire a ridurre le divisioni mentali esistenti e creare un mondo più equo e multiculturale!

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