Riportiamo le riflessioni di un’amica di Xlestrade sugli eventi accaduti in questi giorni, anzi anni.
Sembra poesia; è racconto però triste di fatti realmente avvenuti e sensazioni che realmente, chi le sta vivendo, le sta provando su se stesso.
Per chi è nato e vive su un isola, il mare è tutto. E’ la prima cosa che impari ad amare, la casa di cui senti nostalgia quando ti allontani, l’aria che ti manca se non la puoi respirare. É parte della tua identità e finisci per sentirlo solo tuo quel pezzo di mare, dimenticando che lo condividi con chi ti guarda dall’altra parte dell’orizzonte ed ha il tuo stesso diritto di attraversarlo, nonostante le carte nautiche, i confini e le miglia marine dei trattati. A volte però quell’azzurro infinito diventa ostile, nemico. Succede che, mentre fai la solita nuotata per sollevarti dalla canicola d’agosto, cominci ad esitare e non avere più voglia, perché ti senti in colpa e provi paura. Senti la colpa di giocare con le stesse acque che hanno inghiottito vite, provi lo stesso disagio di calpestare una tomba, hai paura che con una bracciata tu possa arpionare un braccio, una mano, la testa di un cadavere. È un cimitero infinito il nostro mare, si è perso il conto delle vittime senza nome che custodisce. Perfino i pescatori hanno gettato l’ancora, dal momento che pescano più uomini che pesci. E a chi non li pesca, per rispettare la Legge, resta il rimorso e la vergogna di aver conservato la barca e perso l’umanità. Leggo sul giornale che oggi hanno scarcerato i 5 siriani arrestati perché ritenuti componenti l’equipaggio del tragico sbarco di lunedì scorso a Sampieri, sul litorale sciclitano, sulla cui spiaggia sono stati rinvenuti i cadaveri di 13 persone prevalentemente di origine eritrea e somala. Restano in carcere i due egiziani, 33 e 28 anni, i quali hanno ammesso le loro responsabilità (con l’aggravante delle frustate inflitte ai poveretti per costringerli ad abbandonare il natante) pur fornendo le loro motivazioni: pare che fossero migranti, poi incaricati dagli organizzatori a guidare la barca in cambio di poter viaggiare gratis.
Più di 100 persone sono morte, inclusi bambini e donne incinte, dopo che il barcone con circa 500 Africani in cerca di asilo ha preso fuoco ed è affondato vicino all’isola di Lampedusa. Adesso i corpi sono stipati all’interno dell’hangar dell’aeroporto in attesa di non si sa cosa. Queste morti non dovevano accadere, come non dovrebbe accadere a chi è sopravvissuto di essere dimenticato in prigioni a cielo aperto, come non dovrebbe accadere a chi invece è libero e prova a rifarsi una vita di essere sfruttato e pagato una miseria dai tanti “padroni” che oggi si battono il petto quando fino a ieri hanno guadagnato ingiustamente su di loro, traendo vantaggio da chi non esiste perché non ha diritti. Non è questione di sicurezza, non è questione di confini, è questione di dignità.
Articolo a cura di Enrica Miceli
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